Circolari e risoluzioni amministrative

La Cassazione ha recentemente ribadito il valore non vincolante delle circolari e delle risoluzioni emanate dall’Agenzia delle Entrate: nulla quaestio! Senonché, in un sistema giuridico/normativo come quello italiano, affrontare la crescente complessità concernente la quotidiana attuazione delle varie disposizioni di legge appare spesso un’impresa improba.<br>Con la sentenza 6185/2017, la Corte di Cassazione ha precisato che la circolare dell’Amministrazione Finanziaria non vincola né il contribuente, né il giudice, non costituendo fonte di diritto. Ammettere, infatti, che detta fonte interpretativa sia vincolante per i giudici o per il contribuente, equivarrebbe a riconoscerle un potere normativo in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione.

Nella fattispecie esaminata, l’Ufficio ricorreva contro la decisione di Secondo Grado per il fatto che era stata applicata una circolare della stessa Agenzia, poi effettivamente ritenuta dalla Corte contraria al disposto normativo.

Il Collegio chiarisce che le istruzioni impartite dall’Amministrazione non possono “influenzare il giudizio di legittimità dell’azione accertatrice, allorché sia sfociata in un atto formale di contestazione, rendendosi di fronte a essa applicabili le sole norme di legge”.

La condivisibile pronuncia si inserisce in un consolidato orientamento della Giurisprudenza di Legittimità.

Doveroso richiamare in proposito la precedente decisione delle Sezioni Unite (23031/2007):
“Per la sua natura e per il suo contenuto (di mera interpretazione di una norma di legge), non potendo esserle riconosciuta alcuna efficacia normativa esterna, la circolare non può essere annoverata fra gli atti generali di imposizione, impugnabili innanzi al giudice amministrativo, in via di azione, o disapplicabili dal giudice tributario od ordinario, in via incidentale. Il che rileva, in primo luogo, sul piano generale, perché le circolari, come è stato affermato dalla Dottrina prevalente, non possono né contenere disposizioni derogative di norme di legge, né essere considerate alla stregua di norme regolamentari vere e proprie, che, come tali vincolano tutti i soggetti dell’ordinamento, essendo dotate di efficacia esclusivamente interna nell’ambito dell’Amministrazione dalla quale sono emesse”.

A tale pronunciamento, hanno fatto seguito ulteriori svariate decisioni della S.C.:
Cassazione 237/2009:
“La cosiddetta interpretazione ministeriale (proveniente di solito da uffici centrali dell’Amministrazione), sia essa contenuta in circolari o risoluzioni, non vincola né i contribuenti, né i giudici, né costituisce fonte di diritto, con la conseguenza che a detti atti ministeriali non si estende il controllo di legittimità esercitato dalla Corte di Cassazione, in quanto essi non sono manifestazione di attività normativa, bensì atti interni della medesima Pubblica Amministrazione destinati a esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti.”

Ancora, Cassazione 5137/2014:
“L’interpretazione della normativa tributaria contenuta in circolari o in risoluzioni, non vincola né i contribuenti, né i giudici e non costituisce fonte del diritto.”

Più di recente, Cassazione 21872/2016:
“La circolare con la quale l’Agenzia delle Entrate interpreta una norma tributaria, anche qualora contenga una direttiva agli uffici gerarchicamente subordinati perché vi si uniformino, esprime esclusivamente un parere dell’Amministrazione non vincolante per il contribuente.”

Insomma, per quanto – in linea teorica – si potrebbe discutere circa l’operato del funzionario che non osserva le direttiva di condotta impartite dal proprio Ufficio a mezzo di circolari e risoluzioni, considerato il generale principio della separazione dei poteri, nei fatti, l’Agenzia delle Entrate potrà regolarmente continuare a emettere circolari e risoluzioni, formulando dei personali pareri interpretativi che si discostano dalle effettive disposizioni normative, senza peraltro che il funzionario di turno (soggetto alla legge prima che alla circolare interna), possa in qualche modo esserne vincolato ai fini dell’emissione di atti di accertamento, avvisi di rettifica et similia.

Il principio, pur indubitabilmente corretto, impone di svolgere alcune considerazioni.

Innanzitutto, pare ovvio rappresentare la crescente farraginosità delle disposizioni cui i contribuenti devono dare concreta applicazione: norme dal tenore letterale (spesso anche grammaticalmente) errato o inintelligibile che costituiscono ostacoli insormontabili allorché occorra passare dalla teoria alla pratica. È, dunque, evidente che un principio ineccepibile come quello appena cennato esplica la sua validità fin tanto e in quanto vige un modello giuridico improntato sulla certezza del diritto. Purtroppo, però, è ormai acclarato che le normative interne (specie quella tributaria e quella previdenziale) siano ben lungi dal costituire un corpus juris certo e chiaro.

Il complesso e variegato sistema rappresentato da circolari e risoluzioni amministrative, d’altronde, assume una connotazione tutta italiana che non trova riscontri simili all’estero. Orbene, considerato lo scopo che si prefiggono tali documenti (ovverossia, fornire indicazioni afferenti l’applicazione della legge), appare ovvio come, da un lato, il Legislatore nazionale non risulta essere all’altezza dei suoi omologhi stranieri (i quali non necessitano di tale ulteriore passaggio illustrativo concernente la legge emanata), dall’altro, sono gli stessi artefici di dette circolari e risoluzioni a ritenere imprescindibile un intervento chiarificatore della norma, la quale evidentemente di per sé sola appare di impossibile (o quanto meno assai incerta) attuazione pratica.

Alla faccia della c. d. “Patria del Diritto”!

Ciò premesso, la cosa che lascia maggiormente sbalorditi i contribuenti locali (e rende il tutto assolutamente incomprensibile ai non-residenti) è la circostanza che quelle stesse leggi che abbisognano di successivi chiarimenti siano state scritte in realtà dai medesimi tecnici che, successivamente, vanno a illustrarle attraverso le menzionate circolari e risoluzioni interpretative. Anzi, spesso vengono emanate a distanza di breve tempo più circolari per fornire differenti indicazioni operative relativamente a una medesima legge.

Ebbene, come se già non bastasse tale incredibile anomalia, le ricordate sentenze della Giurisprudenza di Legittimità (seppure non ce ne fosse affatto bisogno, in quanto fatto notorio) attestano che, nella pratica, ci troviamo persino di fronte ad assurde situazioni in cui i tecnici dell’Agenzia delle Entrate (o dell’INPS) forniscono delle indicazioni che sono contrarie alle norme che avevano in precedenza (loro stessi) scritto.

Tale deprecabile modus operandi della nostra Amministrazione non è passato inosservato all’esterno, tanto che, in più di un’occasione, gli organismi internazionali cui appartiene l’Italia hanno bacchettato l’Agenzia delle Entrate, ammonendo che non può travalicare i suoi poteri riscrivendo di fatto la legge, con la scusa di fornirne una corretta interpretazione a beneficio dei cittadini.

Siamo giunti al punto che il Legislatore si è veduto costretto a varare una norma (purtroppo, spesso disattesa) con la quale si prevede che il contribuente non possa essere sanzionato in tutti quei numerosissimi casi in cui le circolari interpretative appaiono fra loro (prima ancora che rispetto alla legge) contraddittorie, o comunque le disposizioni in generale non sono sufficientemente chiare.

Nel sopra delineato panorama giuridico-normativo, si è inserito il D.Lgs. 156/2015 relativo all’istituto dell’interpello; anch’esso (manco a dirlo) successivamente illustrato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare 9/2016.

Come noto, l’interpello è in pratica la possibilità offerta ai contribuenti di richiedere un parere all’Amministrazione Finanziaria riguardante la soluzione di un caso specifico di dubbia interpretazione. Esistono addirittura sei diverse discipline di interpello cui il contribuente può ricorrere in relazione alla particolare fattispecie che rileva.

Con detto strumento, il Legislatore ha “sdoganato” a tutti gli effetti l’Agenzia delle Entrate, conferendole di fatto il potere sostanziale di indicare al contribuente la condotta da seguire con riferimento a delle normative obiettivamente per nulla chiare. Il contribuente non è obbligato a comportarsi secondo quanto evidenziato dall’Ufficio; ma, così facendo, andrà incontro a un contenzioso col Fisco con esiti presumibilmente negativi. Per altro verso, seguire le indicazioni fornite dall’Agenzia lo dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) porre al riparo da eventuali futuri accertamenti, sulla base del fatto che la norma in discorso non prevede che un contribuente venga sanzionato per essersi allineato, previo interpello, alla risposta fornita dall’Ufficio. Se, peraltro, andassimo ad applicare l’iniziale principio enunciato, il contribuente che si conformasse alla risposta dell’Agenzia, teoricamente, potrebbe subire un accertamento da parte di un funzionario che valuta diversamente la concreta fattispecie, sulla base del fatto che la circolare/risoluzione interna non lo vincola, e vedersi soccombente di fronte alla Cassazione in quanto l’unica fonte legittima resta soltanto la norma di legge.

Ebbene, non vi è chi non veda illogicità e/o contraddittorietà tra la ratio del decreto in parola e il precetto posto alla base delle richiamate pronunce giurisprudenziali, afferenti il valore delle circolari e delle risoluzioni emanate dall’Amministrazione.

In conclusione, dunque, pur non potendo che concordare sulla correttezza del principio giuridico enunciato dalla Cassazione, condannare un contribuente che ha messo in atto delle condotte rispettose delle circolari, in un sistema privo di certezza del diritto come quello italiano, francamente, appare un’oggettiva ingiustizia.

Sia ben chiaro, non si vuole affatto creare una sorta di alibi generalizzato a favore di contribuenti senza dubbio colpevoli di avere evaso imposte e/o contributi. Ma è palese che, quanto meno nei casi in questione, gli sbagli (se di ciò si può parlare) che hanno comportato delle condotte sanzionabili, risiedono a monte: ossia, in un sistema globale che non garantisce certezze, e nell’operato dei tecnici che non si dimostrano in grado, prima, di scrivere le norme e, dopo, di saperne fornire corrette interpretazioni.

De facto, quindi, anziché intervenire sui reali colpevoli ponendo rimedio ai loro sbagli, si pretende che il contribuente paghi per degli errori commessi dall’apparato dello Stato nel suo complesso.

E questo è, ad avviso di chi scrive, inaccettabile.

Fonte: http://www.paolosoro.it