Il rischio finanziario

<br>L’incertezza dei mercati finanziari espone come si sa al “rischio” di subire delle perdite. Le cause che innescano queste perdite possono essere di natura eccezionale o fisiologica; la natura stessa degli investimenti finanziari fa sì che i rendimenti (soprattutto di alcuni strumenti) non siano certi al momento dell’investimento iniziale. In questo articolo ci concentriamo sulle fonti di rischio derivanti dalla natura stessa dei prodotti finanziari, tralasciando tutta un’altra serie di rischi (vedi bias comportamentali) che ci espongono a perdite dovute ad errati ingressi sul mercato (o uscite), selezione di prodotti casalinghi (home bias) o della nostra banca di fiducia e così via.
Il rischio fisiologico che i prodotti finanziari si portano dietro è eterogeneo, nel senso che al proprio interno esistono diverse forme di incertezza che possono impattare in modo negativo sul loro valore. Le tre principali “famiglie” di rischio sono quella del rischio mercato, quella del rischio credito e quella del rischio liquidità.

Queste tre fonti di rischio dipendono fortemente dalla natura e dalle caratteristiche del prodotto finanziario e possono essere presenti in misura diversa.
Sono fonti di rischio interdipendenti, nel senso che un aumento di rischio credito di un titolo può determinare un aumento sia del rischio mercato che del rischio liquidità. Chiaramente non è il solo esempio.
Innanzitutto occorre ricordare che il ‘rischio’, almeno quello in ambito finanziario, è la perdita derivante dal verificarsi di un evento avverso (con un certo livello di probabilità) che interessa il valore di un investimento.
Dunque non è rilevante esclusivamente la probabilità con cui un evento si può verificare, ma anche la quantificazione della potenziale perdita. Eventi con medesima probabilità di verificarsi, possono avere conseguenze ben diverse.
Iniziamo con la famiglia del rischio mercato.

Si intende la perdita derivate da movimenti avversi del mercato che determinano una diminuzione del valore (per semplicità prezzo) degli investimenti detenuti in portafoglio. Ne sono un esempio movimenti che si denotano sui listini azionari, oppure al NAV dei fondi o al prezzo di acquisto di quote di ETF. Questo concetto può essere facilmente esteso anche ad altri prodotti finanziari come obbligazioni o polizze, ma in generale possiamo sintetizzare che in questo caso le perdite derivano da variazioni negative nel “prezzo” dello strumento finanziario dovute a fattori di rischio spesso di tipo “macro” (livello tassi di interesse, instabilità politica, ecc). Ad esempio, le obbligazioni a tasso fisso, nel caso di un amento dei tassi di interessa quotati sul mercato, perdono di valore e il loro prezzo diminuisce.
Per rischio credito si intende invece, la perdita derivante dal fallimento dell’emittente a cui, in qualità di sottoscrittori di titoli di debito, abbiamo prestato dei soldi. La misurazione di questa componente di rischio, consente di discriminare gli emittenti robusti da quelli che con più probabilità potrebbero finire a gambe all’aria.

Nel mercato degli investimenti, un primo giudizio sul rischio credito è offerto dalle agenzie di RATING, che esprimono in una sorta di classifica, gli emittenti sicuri da quelli più rischiosi.
In fondo si tratta della stessa variabile con cui veniamo misurati dalla banca al momento della stipula di un mutuo. Può accadere che Tizio e Caio chiedano lo stesso importo di mutuo, ma i tassi (e gli spread) loro applicati possano essere molto diversi. La differenza è la diversa capacità di pagamento. Il tipo di contratto di lavoro, l’età, le garanzie che possono essere offerte, sono elementi tenuti in considerazione per capire con chi dei due la banca rischia di più ed applicare un tasso maggiore a compensazione del maggior rischio sostenuto.

Semplificando al massimo, il mutuo altro non è che un’obbligazione bancaria a segni invertiti. Chi nel mutuo è il debitore diventa creditore nel momento in cui sottoscrive un’obbligazione bancaria. Chi era creditore nel mutuo (banca) diventa debitore emettendo obbligazioni, importante fonte di finanziamento utilizzata nel mondo bancario. Capire dunque chi si ha davanti al momento di prestare dei soldi è molto importante per la Banca, ma lo deve essere anche per noi, per capire se il rendimento offerto dallo strumento è coerente con il rischio sopportato. Per fare questo occorre confrontare strumenti finanziari simili, altre obbligazioni di banche ritenute simili, oppure rispetto a un BTP (il rischio che fallisca il paese sarà pur inferiore del rischio che fallisca la mia banca).

Il rischio credito si manifesta in caso di dissesto finanziario dell’emittente. Fino a qualche tempo fa, questo evento sembrava confinato al mondo corporate, ma negli ultimi anni è saltato fuori che nemmeno gli stati (Argentina in primis), né tantomeno le banche possono ritenersi emittenti risk free in cui non possa sussistere l’ipotesi di un fallimento. A questo si aggiungono ulteriori aspetti che nel tempo hanno esposto i risparmiatori-investitori ad una maggiore dose di rischio credito come i prestiti subordinati, che hanno determinato il caos nelle quattro banche insolventi a cui è stato applicato per la prima volta il bail in in Italia. E’ stato detto molto su questa vicenda per cui facciamo a meno di tornarci sopra.

Infine il rischio liquidità. Si intendono le perdite (che possono prendere la forma di costi o mancati rendimenti) che dobbiamo fronteggiare nel momento in cui "usciamo" da un investimento. E’ una categoria di rischio spesso sottovalutata e che spesso mette a rischio il risultato di un investimento.
Nessuno strumento finanziario, neppure quelli quotati, è veramente privo di rischio liquidità. Gli stessi BTP o titoli di stato hanno passato momenti in cui era più difficoltoso venderli sul mercato ovvero venderli ad un prezzo “prevedibile”. In gergo tecnico, la forchetta di prezzo (bid-ask) ha avuto un’ampiezza molto più elevata rispetto a quella usuale.

Tuttavia, i più rischiosi in assoluto sono i prodotti che un mercato di contrattazione non ce l’hanno, oppure è poco sviluppato. Ancora una volta le obbligazioni bancarie non quotate sono un buon esempio. Gli obbligazionisti, soprattutto di banche medio-piccole, non hanno un mercato in cui rivendere velocemente i prodotti (a meno di internalizzatori sistematici). In molti casi è l’emittente stesso che, in ottemperanza del patto di riacquisto, è il solo che possa riacquistare lo strumento. Purtroppo in questi casi, le condizioni vengono decise dall’emittente e, inutile dirlo, sono spesso sfavorevoli all’obbligazionista.

Visto il gran successo che stanno avendo, non possiamo non citare le polizze assicurative. Per non generare confusione, precisiamo che ci riferiamo a quelle polizze che hanno pesanti connotati di prodotti finanziari, come le unit linked e che spesso non vengono sottoscritte per finalità assicurative, ma come surrogati di investimenti finanziari (anche per cogliere determinati vantaggi fiscali)
Anche in questi prodotti, il rimborso anticipato potrebbe risultare faticoso oltre che oneroso.
Chi ha investito in questi prodotti, dovrebbe tener presenti i costi di uscita che vengono applicati in caso di richiesta di rimborso del capitale prima della scadenza. Spesso, si legge nei prospetti, il primo anno non è neppure possibile richiedere il rimborso, negli anni successivi è possibile farlo, ma pagando una penale. A volte la penale raggiunge livello elevati (8%). Non solo, ma anche le voci di costo di gestione di questi prodotti (un costo annuo che viene applicato alla performance del prodotto) possono compromettere il rendimento dell’investimento.

La situazione abituale in cui questo rischio si concretizza è quella di un piccolo-piccolissimo investitore che, mal indirizzato, mette tutti i propri risparmi in un prodotto con bassa liquidità e nel corso del tempo scopre di avere esigenza di ritirare parte di qual capitale per far fronte ad un imprevisto o (situazione peggiore) a un evento programmato.
A quel punto, liquidare anzitempo la posizione potrebbe diventare difficile o comunque risultare oneroso vanificando gli sforzi fatti fino a quel momento. Con tutta probabilità infatti, chiudendo il contratto anzitempo e sostenendo il relativo costo, il rendimento complessivo sarà prossimo allo zero, se non addirittura negativo.

Occorre uno sforzo: capire perché stiamo investendo, quali sono gli obiettivi a breve-medio e lungo termine che vogliamo realizzare, sono l’elemento essenziale per una corretta impostazione di consulenza finanziaria che consenta di mitigare il più possibile l’effetto di tali componenti di rischio, con la consapevolezza che una dose di rischio incontrollabile dovremo comunque prendercela. La scelta degli investimenti deve essere sempre guidata da questi obiettivi di pianificazione (studi dei figli, pensione integrativa, pre-pensionamento, pianificazione successoria ecc) per fare in modo che i rischi siano compatibili con tali obiettivi. Inutile dire che la scelta dei professionisti a cui ci rivolgiamo è fondamentale, perché ci possano accompagnare sia nell’identificazione dei prodotti giusti, ma anche per ridurre al minimo gli errori comportamentali che possiamo comunque commettere anche con i prodotti “giusti”. Sul capitolo della finanza comportamentale e dei “atteggiamenti” scorretti che normalmente si vedono negli investimenti potremmo tornare più avanti.

di Anele Illuminante

Fonte: https://www.aduc.it