Investire in criptovalute?

<br>Abbiamo già parlato di Bitcoin circa un mese fa sottolineando come la questione di fondo sia la regolamentazione che questo strumento inevitabilmente avrà nel momento in cui passerà da strumento marginale a strumento in grado di incidere in modo apprezzabile nel sistema economico-finanziario.
Bitcoin, però, non esaurisce il molto più variegato mondo delle così dette “criptovalute”.
Qualche “purista” di Bitcoin sostiene che le altre criptovalute siano poco più che inganni e che l’unico progetto che merita di essere preso in considerazione sia Bitcoin.
Attorno a Bitcoin, infatti, si è sviluppato un enorme mercato pseudo-finanziario di “criptovalute”, la cui capitalizzazione inizia a rappresentare qualcosa di non più trascurabile come un paio d’anni fa.
Il caso di Ethereum
Diamo per scontato che chi legge sappia cosa sia Bitcoin (altrimenti lo rimandiamo al nostro precedente articolo di luglio 2017). Bitcoin è un esempio, il più famoso, di criptovaluta, ma ci sono migliaia di progetti che si differenziano, talvolta in modo marginale, altre volte in modo sostanziale, ma che comunque vogliono rappresentare uno strumento di scambio alternativo o un mezzo di conservazione del valore simile all’oro.
Una criptomoneta (si usa anche il termine “altcoin” che sta per “alternative coin”, moneta alternativa) si scambia in siti internet chiamati, appunto, “exchange” nei quali è possibile negoziare coppie di monete alternative. In genere tutte le criptomonete meno conosciute si scambiano contro bitcoin o contro la seconda criptomoneta più importante che è l’ether, la moneta che sta alla base del progetto Ethereum. Possedendo valuta tradizionale (euro, dollari, ecc.) è possibile acquistare bitcoin o ether attraverso siti che fanno questo di mestiere (dietro laute commissioni). Questi bitcoin o ether possono essere scambiati con tutte le altre criptomonete attraverso i già citati “exchange”. Ovviamente si può fare anche il percorso inverso fino ad avere la valuta tradizionale a corso legale partendo da una qualsiasi criptovaluta.

Il progetto Ethereum è un esempio eccellente per comprendere il mondo delle criptovalute.
Ethereum e Bitcoin sono due progetti che si possono definire al tempo stesso molto simili, visti superficialmente, ma in realtà sono significativamente diversi quando si guardano più in profondità.
L’idea è stata lanciata nel 2013 da un ragazzino russo-canadese, all’epoca neppure ventenne. La base del progetto è quella di utilizzare il concetto di “blockchain”, cioè di un registro pubblico sicuro e distribuito attraverso una rete di computer interconnessi, non solo per scambiarsi una valuta virtuale, come nel caso di Bitcoin, ma per scambiarsi “contratti intelligenti”.
Con contratti intelligenti ci si riferisce a software che risiedono in questa infrastruttura informatica che ne certifica l’esistenza e la corretta esecuzione. Il potenziale di questo progetto è praticamente infinito. Avere una piattaforma distribuita, sicura, affidabile e terza, sulla quale far funzionare dei software che rappresentano, certificano e fanno funzionare degli accordi contrattuali costituisce una innovazione potentissima applicabile praticamente a tutti gli ambiti economici.
Bitcoin ha “inventato” il concetto di un bene digitale trasferibile, ma non duplicabile. A questo scopo si è servito di un registro pubblico digitale distribuito (la blockchain) il quale, attraverso un mix di tecnologica e regole derivate dalla teoria dei giochi, assicura che le cose scritte in questo registro siano più affidabili di quelle di qualsiasi altro ente certificatore.
Ethereum ha compreso che in questo pubblico registro potevano risiedere anche cose più complesse che semplici registrazioni contabili. Nel pubblico registro si possono far “vivere” una serie di regole (software) che riflettano degli accordi fra le parti. Il pubblico registro diventa qualcosa di più complesso di un registro contabile, diventa una sorta di “notaio” digitale automatico e con costi marginali.
Siamo quindi nel 2013 e questo ragazzino, Vitalik Buterin, pubblica su una rivista che lui ha co-fondato, Bitcoin Magazine, questa idea potenzialmente rivoluzionaria. Insieme ad una manciata di sviluppatori scrivono una “bozza” di codice (piena di bugs) e cosa fanno?
Dal momento che, nel progetto, i “contratti intelligenti” che gireranno nella rete di Ethereum dovranno usare una moneta digitale, che hanno chiamato “ether”, s’inventano di farsi dare bitcoin in cambio di ether per finanziare il progetto di sviluppo. In sostanza fanno un crowfunding in bitcoin in cambio di ether.
L’idea ha un riscontro talmente elevato che nel 2014 frutta circa 18,4 milioni di dollari in bitcoin, pari – allora – a circa 31.500 bitcoin (al cambio di adesso sarebbero circa 300 milioni di dollari).
Con molti soldi a disposizione, il progetto prende il via ed il valore degli ether schizza sempre più in alto (naturalmente fra crolli e salite vertiginose) alimentando una spirale positiva, oltreché speculativa.
Sulla scia di Ethereum: centinaia di altre criptovalute
Ethereum sta svolgendo il duplice ruolo di esempio ispiratore e piattaforma operativa per il lancio di centinaia e centinaia di nuove criptovalute.
La stessa piattaforma di Ethereum, infatti, è diventata lo strumento principale per il lancio delle così dette “ICO”, sigla che scimmiotta quella più famosa in finanza di “IPO”, ovvero Initial Pubblic Offer (la quotazione di una nuova azienda). Una ICO è l’offerta al pubblico di nuove monete alternative sulla base di semplici progetti che spesso sono solo sulla carta.
La grande maggioranza di queste criptovalute non ha nessun progetto serio o credibile alle spalle. Spesso sono copie di altri progetti con modifiche irrilevanti. E’ molto significativa la vicenda del progetto di criptovaluta che dichiaratamente non serve assolutamente a niente (già dal nome: Useless Ethereum Token, il sito era ancora più esplicito, se possibile: https://uetoken.com/) e ciò nonostante ha ricevuto oltre 300 mila dollari! Questo dimostra come ci sia tanta improvvisazione e poca attenzione in buona parte delle persone che mettono soldi in questo mercato.
Alcune di queste criptovalute, invece, hanno progetti seri ed interessanti alle spalle.
Il complesso della capitalizzazione di tutte queste criptovalute ha superato, nel suo momento di maggiore splendore, circa un mesetto fa, gli 800 miliardi. Negli ultimi giorni ci sono stati crolli notevoli che hanno fatto scendere questa capitalizzazione sotto i 500 miliardi e mentre scrivo siamo poco sopra. Si tratta di numeri molto rilevanti, anche se al momento non si possono definire “sistemici” dal punto di vista macroeconomico. Tanto per comprendere l’ordine di grandezza delle cifre, il valore dell’oro supera di 12 volte quello di tutte le criptovalute. Il valore complessivo degli scambi giornalieri in criptovalute si misura in qualche centinaia di milioni di dollari. Il volume giornaliero degli scambi sul forex (il mercato delle valute a corso legale) si misura in migliaia di miliardi: ordini di grandezza di differenza.
Ciò nonostante, centinaia di milioni di dollari scambiati ogni giorno sulle criptovalute sono cifre non indifferenti che chiamano senza dubbio una regolamentazione di questo mercato che probabilmente si realizzerà entro quest’anno.

Criptovalute: il bello ed il brutto
La nostra opinione sulle criptovalute in generale è simile a quella che abbiamo già espresso circa Bitcoin, con qualche aggiunta da fare.
Abbiamo già scritto che Bitcoin ha introdotto una tecnologia molto interessante che è destinata a cambiare il modo con il quale noi utilizzeremo internet in futuro. Al tempo stesso il progetto presenta dei gravi problemi (non ultimo la questione dell’enorme spreco di energia) che possono essere sistemati in futuro, forse da altri progetti, forse modificando Bitcoin. Il cuore di tutta la questione, però, è la totale assenza di regolamentazione. La misura del successo (o dell’insuccesso) del progetto dipenderà essenzialmente dalle decisioni politiche dei governi e delle autorità di vigilanza.
Sulle criptovalute in generale è necessario fare qualche aggiunta, qualche precisazione in più. Fra le varie criptovalute ci sono progetti ancora più interessanti di Bitcoin. Lo stesso Ethereum è potenzialmente molto più interessante di Bitcoin. Per fare un secondo esempio, esiste una criptomoneta pensata per l'”internet delle cose”, che si chiama IOTA, basata su una infrastruttura tecnologica estremamente intelligente, che promette di risolvere in modo molto brillante alcuni dei problemi più spinosi della maggioranza delle criptovalute, senza abbandonare il concetto fondamentale di decentralizzazione (come invece accade per altri progetti “di successo” come Ripple, ad esempio).
Investire seriamente (cioè una quantità di denaro che non sia trascurabile) in criptomonete, al momento, significa esporsi al rischio concreto di perdere tutto. Non esistono le condizioni minime di agibilità affinché si possa parlare di investimenti finanziari seri.
Partiamo dal concetto che acquistando una criptomoneta non si è titolari di alcun diritto. Si da soldi in cambio di pure promesse. Il progetto di criptomoneta può cambiare e prendere una direzione qualsiasi, magari con enormi vantaggi per gli sviluppatori del sistema stesso e svantaggi per i possessori della criptomoneta. Gli investitori iniziali non hanno il benché minimo strumento giuridico per tutelare i propri diritti d’investitore.
Ai tempi della bolla di internet c’erano tantissimi progetti che partivano e chiedevano soldi al mercato attraverso le famose “IPO”. Molti di questi progetti erano inconsistenti e le aziende hanno chiuso facendo perdere tutti i soldi agli azionisti. Ma almeno erano azionisti! Chi ha avuto la “fortuna” di scommettere su aziende come Amazon, ad esempio, ha avuto guadagni importantissimi. E’ profondamente diverso essere azionisti di un società o possessori di “token” di una criptovaluta. Il possessore di una criptovaluta non ha alcun diritto giuridicamente spendibile.
Deve solo sperare che il “token” acquistato aumenti di valore in in funzione del progetto sostenuto. Ma non è detto che questo accada, anche se il progetto dovesse avere successo duraturo (cosa, statisticamente, sempre improbabile in queste fasi di rivoluzioni tecnologiche).
Magari il progetto evolve e/o confluisce in un altro progetto, magari negli anni cambiano delle regole che determinano il valore delle criptovalute. Insomma, si tratta di fare una scommessa non solo statisticamente difficile, ma anche in assenza della benché minima tutela legale.
A questo bisogna aggiungere che le piattaforme di exchange a loro volta non sono regolamentate e può accadere di tutto. Possono decidere di sospendere gli scambi a loro insindacabile giudizio. Alcune sono state esposte ad attacchi informatici, altri hanno semplicemente chiuso con tanti saluti, ecc. Siamo in una sorta di far-west proto-finanziario.
Il potere della promessa di diventare ricchi in poco tempo e senza sforzo ha fatto sì che molte persone siano disposte a fare questa scommessa, ma razionalmente non è una scommessa che si possa fare se non come una sorta di “gioco” simile ad una lotteria (con qualche probabilità in più di vittoria…).
Oltre a questi problemi centrali vi è un aspetto molto importante da evidenziare. Siamo solo all’inizio di una rivoluzione tecnologia. Bitcoin è una tecnologia che si può definire ormai abbastanza matura (sebbene in continua evoluzione), ma il resto delle altre criptovalute sono veramente agli albori. Ciò che si può effettivamente fare con questa tecnologia è tutto da sperimentare ed è molto probabile che ciò che vedremo fra 3 o 5 anni sarà profondamente diverso da ciò che oggi ci possiamo solo immaginare oggi. E’ probabile che fra qualche anno vedremo l’emergere di nuove piattaforme che renderanno obsolete le piattaforme lanciate oggi e le conseguenti criptomonete potrebbero diventare simili alla Useless Ethereum Token di cui abbiamo scritto sopra: ovvero valere zero.
Ci sono diversi aspetti che dovranno essere sistemati nell’ipotesi di un utilizzo pervasivo di questa tecnologia. Vi è un problema strutturale che affligge un po’ tutte le più famose criptovalute e che deriva, culturalmente, da Bitcoin stesso. Molte criptovalute sono pensate come mezzo di pagamento, ma sono progettate come bene scarso, quindi più come merce-riserva-di-valore che non come mezzo di pagamento. Molte criptovalute si fregiano del fatto che le loro regole (attuali!) impongano che il numero totale di token non possa superare un determinato numero fisso (come accade con i famosi 21 milioni di bitcoin). Questa rigidità è vista come un valore. Come garanzia di “assenza d’inflazione” e di aumento di valore della moneta nel tempo. Chi conosce un po’ di politica monetaria comprende chiaramente che questo è un errore grossolano. Affinché un sistema economico abbia prezzi stabili la quantità di moneta non può essere fissa, ma deve adeguarsi alla quantità di beni e servizi prodotti. Se un progetto anche molto interessante, come ad esempio IOTA, avesse un grande successo e diventasse lo standard nei micropagamenti i prezzi, in IOTA, dei servizi dovranno necessariamente diminuire in continuazione, mano a mano che entreranno nella piattaforma sempre più fornitori di servizi. Un giorno, quando questi progetti saranno maturi ci si accorgerà che questo è un limite al quale si dovrà, in qualche modo, porre rimedio.
Si possono progettare dei sistemi per rendere flessibile una unità di conto a partire da un asset digitale rigido. Non è concettualmente impossibile, ma oggi rimane un problema aperto di cui pochi si rendono conto e che implicherà necessariamente delle modifiche strutturali alle attuali architetture. Questo è solo un aspetto, oggi poco compreso, per il quale un progetto futuro, più evoluto, potrebbe soppiantare un progetto lanciato oggi.
Conclusioni
Allo stato attuale le criptovalute sono una sorta di “brodo primordiale” dal quale emergeranno – senza alcun dubbio, per quanto mi riguarda – delle tecnologie importantissime che ci consentiranno di utilizzare internet in modi nuovi che oggi possono apparire fantascientifici.
Le tecnologie che emergeranno nei prossimi 5-10 anni dalle evoluzioni del concetto di blockchain cambieranno profondamente l’economica e la finanza, così come ha fatto internet.
Personalmente ho zero dubbi sul fatto che questo accadrà. E’ inevitabile, perché utilizzare queste tecnologie sarà incredibilmente più conveniente, così come è troppo più conveniente comprare un prodotto on-line e farselo spedire (con le dovute garanzie di eventule restituzione) piuttosto che andarle a comprarle in un negozio.
Non ci sono, però, le condizioni di garanzie minime per investire seriamente in questo mercato.
Al momento, più che un mercato finanziario, si tratta di un far-west che scimmiotta i mercati finanziari.
Al massimo, si possono fare delle scommesse, più per divertimento che per investimento.
di Alessandro Pedone

Fonte: https://www.aduc.it