"Tu mi completi": i lavoratori stranieri non sostituiscono ma sono complementari a quelli italiani, dice la Fondazione Leone Moressa

<br>Gli stranieri “rubano” il lavoro agli italiani? Si tratterebbe solo un luogo comune, secondo un’analisi realizzata dalla Fondazione Leone Moressa. L’istituto di studi nato nel 2002 da un’iniziativa della CGIA di Mestre sostiene, dati alla mano, come la manodopera “immigrata” si ponga in un rapporto di complementarietà – e non di sostituzione – con quella “autoctona”. In altre parole sul mercato del lavoro stranieri e italiani convivono ed entrambe queste componenti sarebbero fondamentali al sistema economico del Paese.

L’analisi della Fondazione si basa su un dato di fatto: la popolazione straniera in età lavorativa (15-64 anni) è in costante aumento dall’inizio del millennio: si passa dagli 1,5 milioni del 2004 ai 4 milioni registrati nel 2018. “Tra gli italiani questa componente è scesa da 36,8 milioni del 2004 a 34,7 milioni nel 2018. Gli stranieri hanno di fatto arginato questo fenomeno, mantenendo costante il volume complessivo oltre i 38 milioni”, dice il rapporto.

Questo aumento nel dato nominale della forza lavoro straniera non ha potuto che riflettersi anche sulle statistiche degli occupati: “Negli ultimi quindici anni è costantemente cresciuto il numero degli occupati stranieri, passati da 965mila nel 2004 a 2,5 milioni nel 2018 […] l’incidenza sul totale degli occupati è passata da 4,3% a 10,6%”. Qui sorge spontanea la domanda: questa incidenza è dovuta unicamente all’aumento della popolazione straniera o vi è stata una effettiva sostituzione degli italiani nel mercato del lavoro? Per la Fondazione Leone Moressa la risposta è inequivocabile: “Gli occupati italiani e quelli stranieri hanno caratteristiche molto diverse tra loro”. Diverse sia per professione che per qualifica. Anzitutto il 47% degli italiani ha un diploma mentre circa la metà della popolazione straniera raggiunge al massimo la licenza media (tendenza divergente che peraltro si sarebbe accentuata negli ultimi anni, sintomo di una immigrazione meno qualificata). Il 33,3% degli occupati stranieri svolge professioni non qualificate (gli italiani solo l’8,3%) mentre il 39% degli italiani trova lavoro nelle professioni qualificate e tecniche (negli stranieri solo il 7,6%). I macrosettori maggiormente dipendenti dalla manodopera “importata” sono l’agricoltura (17,9% del totale degli occupati) e le costruzioni (17,2%).

La tesi della complementarietà esce ulteriormente avvalorata osservando le prime dieci professioni per numero di occupati, che divergono notevolmente tra italiani e stranieri. Ad esempio il 5,9% degli italiani è impiegato addetto alla segreteria e agli affari generali, il 5,1% è addetto alle vendite, il 4,6% è esercente e addetto nelle attività di ristorazione e il 3,4% è tecnico della salute. In testa alla classifica degli stranieri invece abbiamo il “personale non qualificato addetto ai servizi domestici”, per il 12,4% della forza lavoro, seguito dal personale qualificato nei servizi di cura, compagnia, aiuto domestico alle famiglie (11,1%), esercenti ed addetti nelle attività di ristorazione (8,1%, unica professione in comune) e il personale non qualificato nei servizi di pulizia di uffici, alberghi, navi, ristoranti, aree pubbliche e veicoli (6,3%). Le stime si fanno ancor più indicative prendendo in considerazione l’incidenza dei lavoratori stranieri nelle singole professioni. Ben il 67,6% dei domestici e il 55,8% dei badanti sono di nazionalità straniera, seguiti dai pastori, boscaioli e pescatori (42%), i venditori ambulanti (40,4%) e i braccianti agricoli (31,7%).

In linea con le caratteristiche relative all’istruzione gli immigrati sembrano trovare occupazione nelle mansioni a bassa specializzazione e a requisiti curricolari limitati. Tale proposizione non può non essere connessa al salario percepito dai due campioni presi in analisi. Secondo lo studio della Fondazione Leone Moressa “il gap retributivo tra stranieri e italiani deriva da un insieme di fattori che portano ad uno svantaggio salariale per gli immigrati: la professione poco qualificata, l’occupazione nei settori poco produttivi e la frammentazione delle carriere lavorative” così come la presenza di “meccanismi normativi che, legando la permanenza sul territorio alla condizione occupazionale, inducono i lavoratori stranieri ad accettare lavori poco tutelati o sottopagati”. Le precedenti constatazioni si riflettono sui dati quantitativi: la retribuzione mensile mediana degli stranieri ammonta a 1.020 euro, mentre quella degli italiani tocca i 1.350 euro. La differenza nella retribuzione oraria mediana è del 18,9% (9,3 euro contro 7,5).

I lavori meno qualificati comportano, così come una più contenuta retribuzione, anche una maggiore fragilità nelle fasi di inversione del ciclo economico. Lo studio rivela come siano stati gli stranieri a risentire maggiormente della crisi economica, vista la drastica riduzione nel tasso di occupazione sceso dal 66,9% del 204 al 58,3% del 2013 (tornando poi al 61,2% nel 2018). Per gli italiani il calo non è stato così drastico: 57,2% di occupazione nel 2004 e 55,2% nel 2013. “Gli stranieri continuano ad avere tassi di occupazione più elevati solo al Sud, mentre sia nelle regioni del Nord che del Centro l’occupazione è maggiore per i nativi rispetto agli stranieri, in linea con i dati europei”, citando lo studio.

La Fondazione Leone Moressa giunge quindi alla seguente conclusione: “la manodopera straniera appare complementare a quella autoctona, quindi funzionale all’economia italiana”. Diverse mansioni e diverse prospettive lavorative: “Sebbene l’immigrazione non sia l’unica soluzione, è innegabile il contributo di questa componente, specialmente negli anni a venire”. In filigrana, il messaggio lanciato dallo studio è favorire l’immigrazione regolare piuttosto che quella irregolare: “Dal 2010 al 2018 i Permessi di Soggiorno per lavoro sono calati del 96% […] Negli ultimi dieci anni, quindi, abbiamo chiuso le porte agli ingressi per lavoro, con il duplice effetto di incentivare gli arrivi irregolari e il lavoro nero”.