Art. 10 c.c. – Abuso dell'immagine altrui

<br>Nozione di immagine
L’Immagine, costituisce una delle proiezioni esteriori della personalità del soggetto, e trova tutela nel nostro ordinamento all’art. 10 c.c. secondo cui in caso di abusiva esposizione o pubblicazione dell’immagine di una persona fuori dei casi previsti dalla legge, ovvero quando ricorre un pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stesa, l’interessato può adire l’autorità giudiziaria per chiedere la cessazione dell’abuso e il risarcimento dei danni.
L’articolo in commento deve leggersi in strettissima connessione con gli artt. 96, 97 e 98 L.A., cui peraltro fa rinvio, richiamando i casi consentiti dalla legge. Per immagine deve intendersi un concetto più esteso del “ritratto”, e dunque comprendente riproduzioni, anche tridimensionali, dell’intero corpo. E’ tuttavia necessario che il soggetto sia identificabile: nel caso lo sia, grazie alla riproduzione di tratti somatici o di abbigliamento caratterizzanti il soggetto, sarà accordata la tutela, nel caso non lo sia, ad esempio perché il volto è coperto da una maschera, sarà negata. 
Problemi particolari sono poi posti dal frequente utilizzo di sosia: in tal caso la tutela viene accordata alla persona la cui immagine è imitata.
Lo stretto collegamento con la persona fisica esclude che la tutela di cui all’art. 10 possa essere invocata da una persona giuridica. 

Il consenso
Il diritto all’immagine viene solitamente fatto rientrare nel diritto alla riservatezza.
Tuttavia in maniera crescente se ne evidenziano i profili patrimoniali connessi al suo sfruttamento economico. Il perno del diritto all’immagine è rappresentato dal consenso dell’interessato. Esso deve essere sempre manifestato, in maniera esplicita o implicita della persona ritratta per l’esposizione, la riproduzione, o la messa in commercio del ritratto, salvo che la riproduzione dell’immagine sia giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico ricoperto o da altre circostanze. Il consenso alla pubblicazione dell’immagine, costituisce un negozio unilaterale avente ad oggetto non il diritto indisponibile all’immagine, ma soltanto il suo esercizio. Così la spontanea sottoposizione all’esecuzione di un servizio fotografico presso un’agenzia fotografica fa presumere il consenso tacito alla diffusione del proprio ritratto.
Date per presupposte queste disposizioni di legge, l’art. 10 del c.c. stabilisce: “qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”.

Abbiamo detto che tale normativa va integrata con l’art. 96 L.A., che prevede la necessità del consenso della persona ritratta per la esposizione, riproduzione o messa in commercio del ritratto stesso. Il consenso è valido solo a favore del soggetto per cui è stato prestato e nei limiti dei fini e delle modalità di divulgazione prefissati ed è sempre revocabile, salvo rinunzia, se non ne deriva un grave pregiudizio.
Il consenso è quindi limitato al tempo, allo spazio e alle finalità per le quali è stato prestato, ne consegue, ad esempio, che il consenso ad un film non implica il consenso alla riproduzione e pubblicazione di singoli fotogrammi su riviste. Ad ogni modo, l’autorizzazione, data dall’interessato, alla pubblicazione della propria immagine non può avere una diversa estensione a seconda della sua manifestazione espressa o tacita. Peraltro, eventuali limiti alla pubblicazione, riguardanti la durata, il luogo, lo scopo e le forme nell’ipotesi di consenso espresso o l’interpretazione del comportamento della persona in caso di consenso tacito, circoscrivono l’efficacia e non la validità del consenso stesso. In tema di esposizione o pubblicazione dell’immagine dei minori,la Cassazione ha affermato che il diritto alla riservatezza di tali soggetti “deve essere, nel bilanciamento degli opposti valori costituzionali (diritto di cronaca e diritto alla privacy) considerato assolutamente preminente, laddove si riscontri che non ricorra l’utilità sociale della notizia e, quindi, con l’unico limite del pubblico interesse”, richiamando sul punto la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo [C 5.9.2006 n. 19069 , GCM 2006, 94; sul tema, cfr. C 29.9.2006 n. 21172 , FD 2007, 134].

Bisogna ricercare sempre il punto di equilibrio fra le due opposte esigenze: da un lato la protezione del diritto del singolo alla riservatezza, a sottrarre la propria immagine e gli atteggiamenti della propria vita privata agli occhi di estranei; dall’altro lato la protezione del diritto all’informazione del pubblico, del diritto di cronaca della stampa. L’equilibrio è raggiunto nel senso che è vietato esporre o pubblicare con qualsiasi mezzo, anche in via telematica, l’immagine altrui senza il consenso della persona ritratta , salvo che non si tratti di persona notoria, in questo caso la divulgazione deve, avere una funzione informativa, non una finalità esclusivamente lucrativa.
Perciò, neppure il diritto di informazione giustifica la divulgazione di immagini che riproducono fatti o atteggiamenti della vita intima di persona notoria ( e senza il consenso, non si può pubblicare neppure l’immagine di una attrice cinematografica, se questa vi appare ritratta in atteggiamento intimo); né consente di divulgare pubblici avvenimenti in modo da esporre la persona che in essi figura al biasimo e alla riprovazione del pubblico.

 Fra i diritti della personalità il diritto all’immagine è certo il più debole, perché la MERCIFICAZIONE DA PARTE DI SCIACALLI, portata dell’odierna società dei mass media , ha indotto a contemperare le esigenze di protezione di questo diritto con le ragioni imprenditoriali dei gestori di comunicazione di massa. La pubblicazione dell’immagine di persona notoria è stata considerata come possibile oggetto di vero e proprio contratto a titolo oneroso, con conseguente irrevocabilità del consenso, in antitesi con la revocabilità che caratterizza il consenso prestato nell’esercizio dei diritti della personalità.
Avv. Vincenzo Mennea

GIURISPRUDENZA

1. Cass. civile, sez. I, 29-09-2006, n. 21172 (sent.)
PERSONALITA’ (DIRITTI DELLA) – RISERVATEZZA – IMMAGINE – ABUSO – Esposizione o pubblicazione dell’immagine altrui – Legittimità – Condizioni – Fattispecie in tema di pubblicazione, su una rivista, di una fotografia del figlio minorenne della ricorrente, ripreso su di una spiaggia in compagnia del padre e di una nota attrice televisiva, indossante un “topless”.
 
L’esposizione o la pubblicazione dell’immagine altrui, a norma dell’art. 10 cod. civ. e degli artt. 96 e 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633 sul diritto d’autore, è abusiva non soltanto quando avvenga senza il consenso della persona o senza il concorso delle altre circostanze espressamente previste dalla legge come idonee a escludere la tutela del diritto alla riservatezza – quali la notorietà del soggetto ripreso, l’ufficio pubblico dallo stesso ricoperto, la necessità di perseguire finalità di giustizia o di polizia, oppure scopi scientifici, didattici o culturali, o il collegamento della riproduzione a fatti, avvenimenti, cerimonie d’interesse pubblico o svoltisi in pubblico – ma anche quando, pur ricorrendo quel consenso o quelle circostanze, l’esposizione o la pubblicazione sia tale da arrecare pregiudizio all’onore, alla reputazione o al decoro della persona medesima.(Fattispecie in tema di pubblicazione, su una rivista, di una fotografia del figlio minorenne della ricorrente, ripreso su di una spiaggia in compagnia del padre e di una nota attrice televisiva, che indossava un “topless”; la Corte, enunciando il principio di cui in massima, ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla madre, sia avendo accertato che il servizio fotografico non risultava attuato con modalità tali da ledere la dignità del minore o della madre stessa e che nelle immagini non era ravvisabile alcun intento lascivo, giacché tra l’attrice televisiva, il cui costume non presentava particolarità suscettibili di riprovazione o di giudizio d’immoralità, e il marito dell’attrice, ritratti nelle istantanee pubblicate, era in corso una lotta scherzosa, compiuta alla luce del sole e in mezzo alla gente, e quindi priva di ogni connotazione diversa da quella meramente ludica; sia avendo ravvisato nella esposizione del figlio, da parte del padre esercente la potestà, in luogo pubblico in compagnia dell’attrice, come tale notoriamente soggetta all’interesse dei fotografi, un implicito consenso alla ripresa fotografica). (Rigetta, App. Milano, 4 Dicembre 2001)
 
2. Cass. civile, sez. III, 13-04-2007, n. 8838 (sent.)  
PERSONALITA’ (DIRITTI DELLA) – RISERVATEZZA – IMMAGINE – IN GENERE – Immagine – Divulgazione – Liceità – Condizioni – Utilizzo pubblicitario senza consenso – Illiceità – Diritto al risarcimento del danno – Configurabilità – Soggetti responsabili – Fattispecie relativa a filmato televisivo.
 
In tema di autorizzazione dell’interessato alla pubblicazione della propria immagine, la divulgazione senza il relativo consenso è lecita soltanto se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione e non anche ove sia rivolta a fini pubblicitari. Pertanto l’utilizzazione televisiva di un filmato, adattandovi maldestramente una canzoncina pubblicitaria, va qualificato, in assenza del consenso degli aventi diritto (nella specie, tre attori professionisti), come illecito, fonte di obbligazione risarcitoria a carico del responsabile della stazione radiotelevisiva e del committente, tenuti a esercitare il controllo rispettivamente su ciò che trasmettono e su quello che chiedono di trasmettere. (Rigetta, Trib. Perugia, 21 Agosto 2001)
3. Cass. civile, sez. III, 16-05-2008, n. 12433 (sent.)
RISARCIMENTO DEL DANNO – PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE (DANNI MORALI) – Violazione del diritto all’immagine – Danni patrimoniali conseguenti – Liquidazione – Criteri – Individuazione – Parametri di valutazione equitativa – Riferibilità agli indici previsti dall’art. 128, comma secondo, della legge n. 633 del 1941 – Ammissibilità.
 
L’illecita pubblicazione dell’immagine altrui obbliga al risarcimento anche dei danni patrimoniali, che consistono nel pregiudizio economico di cui la persona danneggiata abbia risentito per effetto della predetta pubblicazione e di cui abbia fornito la prova. In ogni caso, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, determinandosi tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico conseguito dell’autore dell’illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione, tenendo conto, in particolare, dei criteri enunciati dall’art. 128, comma secondo, della legge n. 633 del 1941 sulla protezione del diritto di autore. (Cassa con rinvio, App. Roma, 3 Marzo 2003)
 
4. Riproduzione dell’immagine senza il consenso della persona
In tema di autorizzazione dell’interessato alla pubblicazione della propria immagine, le ipotesi previste dall’art. 97 della legge 22 aprile 1941, n. 633, ricorrendo le quali l’immagine può essere riprodotta senza il consenso della persona ritratta, sono giustificate dall’interesse pubblico all’informazione; di conseguenza, avendo carattere derogatorio del diritto alla immagine, quale diritto inviolabile della persona tutelato dalla Costituzione, sono di stretta interpretazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva escluso la necessità del consenso dell’interessato, ritenendo che non avesse fini di lucro, ma scopi “didattici o culturali”, previsti dal suddetto art. 97, la pubblicazione dell’immagine di un ex allievo di una scuola di danza nella locandina promozionale di uno spettacolo a pagamento della stessa scuola).

Risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di “chance – Prova
L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di “chance” esige la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile. (Nella specie, relativa all’illegittima mancata ammissione di un allievo alla scuola di danza di un teatro, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva equitativamente riconosciuto, oltre al pregiudizio patrimoniale in senso stretto liquidato sulla base dei compensi annui che l’attore avrebbe percepito come allievo della scuola, il danno da perdita di “chance”, consistito nella perdita di concrete possibilità di lavoro conseguenti al forzato ed illegittimo fermo artistico nel periodo in cui il giovane allievo avrebbe avuto maggiori possibilità di guadagni professionali).
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 11 maggio 2010, n. 11353   (CED Cassazione 2010).