23 Ott Avvocato propone atti plurimi per medesimi crediti dello stesso debitore? E' illecito deontologico
L’avvocato che compie plurimi atti d’intervento per altrettanti distinti crediti del medesimo soggetto creditore e configura un illecito aggravio della posizione dell’esecutato (la PA) compie illecito disciplinare.<br>E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, con la sentenza del 17 gennaio 2017, n. 961, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso dal Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 34/2016.
La vicenda
La pronuncia traeva origine dal FATTO che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Siena, a seguito di segnalazioni di anomalie e disfunzioni nelle esecuzioni mobiliari trattate dinanzi al Tribunale di Siena, e particolarmente nelle procedure di pignoramento presso il Monte dei Paschi di Siena e contro la ASL/2 di Salerno, aprì procedimento disciplinare contro gli avvocati CAIO e TIZIO e degli avvocati SEMPRONIO e MEVIO, domiciliatari senesi, formulando il seguente capo d’incolpazione:
«Violazione dell’art. 49 del codice deontologico, per avere nelle loro rispettive qualità di difensore e/o procuratore domiciliatario e/o sostituto di udienza, con riferimento e limitatamente all’attività professionale da ciascuno compiuta, anche in concorso tra di loro, aggravata la posizione debitoria della ASL n.2 di Salerno, assumendo iniziative giudiziarie nella procedura esecutiva n. XXXX nei procedimenti presso il Tribunale di Siena nei confronti del Monte dei Paschi di Siena, senza che ricorressero effettive ragioni di tutela della parte assistita e consistenti, tra gli altri, nel:
richiedere per conto del medesimo cliente una pluralità di ingiunzioni per ragioni creditorie in tutto analoghe tra loro, riferita a crediti maturati in ristretto lasso di tempo;
b) procedere alla redazione-intimazione di separati atti di precetto per la sorte capitale ed onorari, dichiarandosi antistatario e in questo modo obiettivamente aumentando ingiustificatamente il complesso delle spese legali dovute con riferimento a ciascun titolo esecutivo».
All’esito della fase amministrativa il COA prosciolse da tutti gli addebiti loro ascritti gli avvocati domiciliatari SEMPRONIO e MEVIO, nonché dal solo addebito di cui al capo b) della rubrica gli avvocati CAIO e TIZIO.
Il COA ritenne questi ultimi, invece, responsabili degli illeciti disciplinari ascritti ai capi a) – c) – d) – e), applicando loro la sospensione rispettivamente per tre e quattro mesi.
Gli avvocati Raffaele CAIO e TIZIO proposero ricorso al Consiglio Nazionele Forense che, esclusa la fondatezza dell’addebito sub capo a), confermò gli addebiti di cui ai capi c) – d) – e); consequenzialmente ridusse l’entità della sospensione inflitta a due mesi per il primo professionista e a tre mesi per l’altro.
La decisione affermò che i comportamenti di cui ai capi c) – d) – e) erano adeguatamente provati, onde era anche dimostrato l’aggravamento della posizione debitoria della controparte, che da quegli ingiustificati comportamenti era derivato.
Dopo un lungo iter giudiziario, qui tralasciato, gli avvocati CAIO e TIZIO ricorrono per la cassazione di tale decisione affidandosi a sei motivi.
I motivi di ricorso
Per quanto è qui di interesse, i ricorrenti con il primo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione del codice deontologico (art. 49) e di norme di diritto (artt. 88, 99, 104, 499, 525, 526, 529, 530 cod. proc. civ.; art. 2907 cod. civ.; artt. 2, 3, 24, 111 Cost.), censurano la sentenza del giudice di rinvio laddove ritiene che l’effettuazione di plurimi atti d’intervento per altrettanti distinti crediti del medesimo soggetto creditore configuri un illecito aggravio della posizione dell’esecutato.
Rilevano, inoltre, che l’art. 499 cod. proc. civ. in particolare impone l’indicazione del singolo credito e del singolo titolo per il quale si spiega la domanda d’intervento che, nella specie, è stata fatta a verbale per ognuno solo nel verbale di udienza senza che potesse il difensore ivi riportare un unico “maxi credito” senza corrispondenza cartolare. Né l’agire così avrebbe portato alcun aggravio atteso che la liquidazione delle spese spetta al G.E. (il quale può provvedervi con le riduzioni previste dalla tariffa professionale) e che il riparto delle somme sarebbe avvenuto con progetto amichevole.
La decisione
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 961/2017 ha ritenuto infondati i motivi ed ha rigettato il ricorso.
Tanto premesso, precisa la Suprema Corte, ferma restando la natura abusiva della parcellizzazione giudiziale del credito (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 108 del 2000 e n. 23726 del 2007), il rimedio agli effetti distorsivi del fenomeno può trovare fonte giudiziaria principale negli istituti processuali della riunione e della liquidazione delle spese, da riguardarsi come se il procedimento fosse unico fin dall’origine (Corte di Cassazione, Sezione III, n. 5491 del 2015).
Nella specie, con insindacabile accertamento di fatto, il CNF ha ritenuto provata la pluralità d’interventi posti in essere nella procedura esecutiva e ha stigmatizzato negativamente la condotta di avanzare plurimi interventi che ben avrebbero potuto, per ciascun creditore, essere compendiati in unico atto e con unica liquidazione di compensi, senza aggravare ingiustificatamente la posizione della P.A. debitrice e incorrere nell’illecito deontologico dell’art. 49 laddove «L’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita».
Analogamente l’art. 66 del nuovo Codice deontologico stabilisce che «L’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte, quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita» (comma 1) e che «La violazione del dovere di cui al precedente comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura» (comma 2).
Le Sezioni Unite, nell’affermare che non è consentito al creditore frazionare la propria pretesa in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, hanno giustificato tale principio con il richiamo sia a regole di correttezza, buona fede e giusto processo per «inderogabili doveri di solidarietà» (art. 2 Cost.) da ritenersi violati quando il creditore aggravi ingiustificatamente la posizione del debitore ed eserciti l’azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite, oltreché la ragione dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi (Corte di Cassazione, Sez. U, n. 23726 del 2007; conf. Sez. U, n. 26961 del 2009).
Analogamente si è affermato che “pure il frazionamento soggettivo delle azioni giudiziarie costituisce condotta abusiva perché idonea a gravare le parti dell’aumento degli oneri processuali derivanti dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti” (Corte di Cassazione, Sezione I, n. 9488 del 2014).
Nella specie il giudice di rinvio, con insindacabile accertamento di fatto, rileva che «nella stessa udienza sono stati depositati plurimi atti di intervento per gli stessi creditori che ben avrebbero potuto essere ricompresi in unico atto».
Dunque, conclude la Cassazione, ogni diversa ricostruzione fattuale, prospettata in ricorso, è inammissibile perché comporta un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa, laddove il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio né costituisce occasione per accedere ad un terzo grado ove fare valere la supposta ingiustizia della decisione impugnata (Corte di Cassazione, Sez. Unite, n. 8053 del 2014 e n. 7931 del 2013).
Fonte: http://www.avvocatoamilcaremancusi.com